14.09.2018

Viaggio in Himalaya

written by:
Emanuele Confortin

14.09.2018

Viaggio in Himalaya

Kinnaur Himalaya, dove dei e uomini si incontrano

Il Kinnaur è un distretto tribale dell’Himachal Pradesh, posto sul confine indo-tibetano. Siamo in Himalaya, in un territorio aspro e isolato, da sempre luogo di transito per merci, religioni e persone. L’alternanza fra agricoltura e pastorizia transumante ha creato l’infrastruttura delle rotte commerciali, basata sostanzialmente sulla direttrice nord-sud. In Tibet vi si conduceva il bestiame carico di grano e cereali, mentre in India giungevano sale e lana.

Gli scambi avvenivano principalmente attraverso il baratto, di per sé una forma di diplomazia più che commercio, basata sull’apertura verso l’altro, sulla valorizzazione di quanto proviene da lontano affermando un complesso modello di scambio, definito dal sociologo francese Marcel Mauss “sistema delle prestazioni totali”.

Assieme alle merci, il Kinnaur ha visto transitare lungo i passi d’alta quota anche tradizioni religiose. Una tra tutte è il bön, le cui pratiche risalgono all’antico regno dello Zhang Zhung, tramandate nella religiosità kinnaura, capace di assimilare sciamanismo e culti animisti legati alle forze ancestrali della natura. In questo contesto mi sono trovato a lavorare da laureando, nel 2003. In quasi tre mesi di ricerca ho avuto modo di conoscere una cultura affascinante e originale, centrata sulla figura del grokch, l’oracolo di villaggio in grado di entrare in trance e di essere posseduto dalla divinità, eseguendo divinazioni ed esorcismi.

È lui, l’oracolo, l’artefice del destino dei kinnaura. Nascere e vivere nella terra dei grokch impone la conoscenza di un universo sottile, popolato da demoni, spettri ed entità sovrannaturali costantemente in agguato. Sono gli abitanti dell’aranya, la “selva”, dove le creature terrifiche rifuggono la luce del sole e il benefico fulgore del fuoco domestico, pronte ad accanirsi sulla preda ideale: l’uomo. Ecco che ciascun villaggio costituisce un microcosmo, la roccaforte in cui viene preservato il ṛta, “l’ordine stabilito”. Come una fortezza, attorno all’abitato sorgono mura invisibili composte da santuari, da bandiere di preghiera o da pietre incise con mantra protettivi, destinati a filtrare chi entra ed esce.

Questo accadeva quindici anni fa e continua ad accadere, ancora oggi. Scrivo queste righe da Kalpa, il mio “campo base” in Kinnaur, dove sono tornato per completare quell’indagine e capire cosa è cambiato in un contesto sociale così fragile, esposto alla pressione migratoria e ai cambiamenti imposti dal repentino sviluppo indiano. Non da ultimo ci sono i cambiamenti climatici, vera e propria incognita per gli ecosistemi himalayani, inclusa la valle del fiume Sutlej, in Kinnaur.

Per tornare in questo territorio è stato necessario organizzare la spedizione in ogni dettaglio. Leggerezza, e precisione sono i requisiti chiave per la riuscita del progetto. Ho quindi scelto materiali affidabili, in grado di garantire performance elevate anche in condizioni difficili, come accade in Himalaya, dove polvere, sole, repentini cambiamenti meteo e le forti escursioni termiche rendono ogni cosa più complessa. Con me c’è Befree Live Carbon Twist di Manfrotto, treppiede con struttura in carbonio e testa fluida che mi permette di realizzare riprese video in ogni condizione, senza rinunciare alla leggerezza e alla precisione nelle riprese.

C’è poi il corredo, di anno in anno sempre più pesante e costoso. Corpi macchina, ottiche, laptop e tutti gli accessori sono strumenti indispensabili che vanno curati e protetti, soprattutto in una missione simile, dove parte degli spostamenti avviene con mezzi pubblici se non addirittura a dorso di cavalli o yak. Da questo la necessità di avere con me uno zaino fotografico professionale, come il Pro Light 3N1-36 di Manfrotto, in grado di isolare l’attrezzatura da polvere e umidità, e dotato di un innovativo sistema di assorbimento degli urti.

Non mi resta che darci dentro e concludere il mio lavoro. Stay tuned.

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